In seguito alla pubblicazione di alcuni commenti al ”PIANO CASA DELLA REGIONE CAMPANIA”, un professionista mi ha invitato a discutere in
ordine ad una particolare possibilità applicativa della Legge Regionale
Campania 19/2009 e s.m.i..
Poiché la domanda e la risposta possono arricchire il
dibattito in corso su una Legislazione controversa e dagli effetti – per così
dire – pregnanti, ritengo utile sottoporla al giudizio critico degli operatori
e di quanti vogliano, a loro volta, partecipare le proprie opinioni.
Geom. Bottone Marcellino
Piedimonte Matese (Caserta) – 4 settembre 2012
Email: bmarcellino@email.it
QUESITO
Buona sera geom. Bottone Marcellino
sono l'arch. Rossi (nome di fantasia) da … … .
volevo, cortesemente, un suo parere riguardo all'applicazione del Piano Casa su un fabbricato rurale ricadente tra due Comuni. Si tratta di un immobile diviso in due parti di cui la prima ricade nel territorio “A“ e la seconda, di maggiore estensione, in quello di “B“ .
volevo, cortesemente, un suo parere riguardo all'applicazione del Piano Casa su un fabbricato rurale ricadente tra due Comuni. Si tratta di un immobile diviso in due parti di cui la prima ricade nel territorio “A“ e la seconda, di maggiore estensione, in quello di “B“ .
Ho presentato al Comune “A“ il P. di C. per la
ristrutturazione edilizia con l'ampliamento del 20% computando tutta la volumetria
esistente su entrambi i Comuni e realizzando l'ampliamento del 20% di tale
volumetria solo su quello “A“.
Il tecnico istruttore della pratica
mi ha esposto la sua perplessità per tale operazione avallando la tesi che, in
questo modo, ho apportato un maggior carico urbanistico solo sul Comune “A“.
Io, invece, sostengo che si possa
trasportare il 20 % della volumetria dell'immobile dal Comune “B“ in quello “A“ non generando nessun carico
urbanistico in quanto:
"è possibile il trasporto del
20% della volumetria esistente dal Comune “B“ al Comune
“A“ perché l'immobile fa parte dello
stesso ambito fondiario unitario formato da p.lle contigue (L. n. 19/2008, art.
6 bis, co. 4), anche se ricadenti in due diversi comuni, e che tale trasporto
di volumetria non genera nessun tipo di carico urbanistico sul Comune “A“ perchè l'intervento straordinario
di ampliamento è in deroga agli strumenti comunali".
volevo sapere Voi cosa ne pensate
in merito.
fiducioso le porgo distinti
saluti....arch. Rossi
(nome di fantasia).
RISPOSTA
Spett.le Arch. Rossi (nome
di fantasia),
mi appresto con piacere a formulare le mie considerazioni sul tema
che mi ha sottoposto.
Tema che attiene all’applicabilità del regime derogativo del Piano
Casa Campania ad una particolare classe di immobili: quelli ricadenti in due
Comuni limitrofi.
E che, nel caso specifico, riguarda “l'applicazione del Piano Casa su un fabbricato rurale ricadente
tra due Comuni.
Si tratta di un immobile diviso in due parti di cui la prima
ricade nel territorio “A“ e la seconda, di maggiore
estensione, in quello “B“.
Ho presentato al Comune “A“
il P. di C. per la ristrutturazione edilizia con l'ampliamento del 20%
computando tutta la volumetria esistente su entrambi i Comuni e realizzando
l'ampliamento del 20% di tale volumetria solo su quello “A“.”
PREMESSA
Attenendomi letteralmente a quanto mi riferisce con la mail inviata
il 29/08/2012, ricavo che sul tema si confrontano due tesi:
- quella “oppositiva” del tecnico del Comune “A“, il quale “ha esposto la sua perplessità per tale operazione avallando
la tesi che, in questo modo, ho apportato un maggior carico urbanistico
solo sul Comune “A“.”
- quella “possibilista” del proponente Arch. Rossi (nome di fantasia), il quale sostiene “che si possa
trasportare il 20 % della volumetria dell'immobile dal Comune “B“ in quello “A“ non generando nessun carico urbanistico in quanto:
"è possibile il trasporto
del 20% della volumetria esistente dal Comune “B“ al Comune “A“ perché l'immobile fa parte dello
stesso ambito fondiario unitario formato da p.lle contigue (L. n. 19/2008, art.
6 bis, co. 4), anche se ricadenti in due diversi comuni, e che tale trasporto
di volumetria non genera nessun tipo di carico urbanistico sul Comune “A“ perché l'intervento straordinario di ampliamento è in deroga
agli strumenti comunali".”
QUESTIONI
PRELIMINARI
Prima di esporLe il mio pensiero mi sembra doveroso dar conto delle
ragioni “di merito” in base alle quali non condivido l’impostazione della
discussione decisa dalle parti. Infatti:
1.
a mio
avviso, di fronte della domanda: “si può
trasportare il 20 % della volumetria dell'immobile dal Comune “B“ in quello “A“?”, non è di alcuna rilevanza stabilire se tale
surplus di volumetria apporti o meno un corrispondente aumento del preesistente
“carico urbanistico” nel Comune “A“;
2.
per
vero, in generale, l’aumento del carico urbanistico è una conseguenza
inevitabile dell’applicazione del Piano Casa (su
questo punto concordo con il tecnico del Comune di “A“, in quanto per aversi aumento del carico
urbanistico è sufficiente non solo un mero ampliamento plano volumetrico ma
anche una mera modificazione d’uso del preesistente), un fatto – cioè – connaturato e inseparabile
dallo scopo esplicito del legislatore di “c) a
incrementare, in
risposta anche ai bisogni abitativi delle famiglie in condizioni di particolare
disagio economico e sociale, il
patrimonio di edilizia residenziale pubblica e privata anche attraverso la
riqualificazione di aree urbane degradate o esposte a particolari rischi
ambientali e sociali assicurando le condizioni di salvaguardia del patrimonio
storico, artistico, paesaggistico e culturale;“ (art. 1, comma
1, lett. c), della LRC 19/2009 e s.m.i.) ;
3.
ma
se anche dovesse dimostrarsi l’erroneità di tale assunto, perché dovrebbe
derivarne una conseguenza sul modo di formulare una risposta alla domanda: “si può trasportare il 20 % della volumetria
dell'immobile dal Comune “B“ in quello “A“?”,
visto che al tema del “carico
urbanistico” si attagliano questioni (di tutt’altro genere) in ordine alla “onerosità e/o gratuità” di un intervento ed alla scelta del “titolo edilizio” che lo autorizzi ?;
4.
in
altre parole, quale che sia la risposta che le parti ritengano più corretta
rispetto al tema della sussistenza o meno di un incremento del “carico urbanistico”, non v’è possibilità di dedurre - da tale
risposta - una ragione dirimente o pregiudiziale
per l’eventuale assenso o diniego all’ipotesi di “trasportare
il 20 % della volumetria dell'immobile dal Comune “B“ in quello “A“
?”: opporsi o assentire a questa ipotesi,
infatti, richiede lo svolgimento di analisi diverse e dirette a stabilire la
compatibilità degli interventi del Piano Casa con gli obiettivi e gli strumenti
di pianificazione del territorio.
UNA
IMPOSTAZIONE DIVERSA
Si è detto che la vexata quaestio riguarda “l'applicazione del Piano Casa su
un fabbricato rurale ricadente tra due Comuni.
Si tratta di un immobile diviso in due parti di cui la prima
ricade nel territorio “A“ e la seconda, di maggiore
estensione, in quello “B“.
Ho presentato al Comune “A“
il P.di C. per la ristrutturazione edilizia con l'ampliamento del 20%
computando tutta la volumetria esistente su entrambi i Comuni e realizzando
l'ampliamento del 20% di tale volumetria solo su quello “A“.”
E si è cercato di dire che il tentativo di pervenire ad una
risposta utile non può arenarsi nella discussione – sostanzialmente irrilevante
– sulla onerosità o gratuità (tale
è la conseguenza dell’aumento del “carico
urbanistico” ) di tale intervento.
Si è invece affermato che la soluzione è da ricercarsi in una
analisi che guardi al complesso delle norme di carattere urbanistico-edilizio,
locali e generali, in base al quale si decide cosa, come e quando può
realizzarsi su un territorio.
Un tentativo, in tal senso, è stato fatto dall’arch. Rossi (nome di fantasia) laddove ha ricercato le ragioni per cui "è possibile il trasporto
del 20% della volumetria esistente dal Comune “B“ al Comune “A“ … … “ nel testo del Piano Casa “ … (L. n. 19/2008, art. 6 bis, co.
4)”, che recita :
“Art. 6-bis
Interventi
edilizi in zona agricola
1. Nelle zone agricole sono
consentiti i mutamenti di destinazione d’uso di immobili o di loro parti,
regolarmente assentiti, per uso residenziale del nucleo familiare del
proprietario del fondo agricolo o per attività connesse allo sviluppo integrato
dell’azienda agricola.
2. Per gli immobili di cui al
comma 1 è possibile applicare le disposizioni dell’articolo 4 o dell’articolo 5
della presente legge, con l’obbligo di destinare non meno del venti per cento
della volumetria esistente ad uso agricolo.
3. Le opere di urbanizzazione
primaria, nelle zone agricole e nelle zone classificate “E” interessate dagli
interventi previsti dal presente articolo, sono realizzate a spese dei soggetti
richiedenti i singoli interventi secondo le disposizioni della vigente
normativa in materia edilizia.
4. L’applicazione del
presente articolo si attua anche mediante il cumulo delle volumetrie di più
edifici ricadenti nell’ambito fondiario unitario, formato da particelle
contigue, di proprietà del medesimo richiedente già alla data dell’entrata in
vigore della presente legge. Le aree oggetto di demolizione, rimaste libere,
devono essere oggetto di apposito ripristino ambientale da realizzarsi prima
della costruzione del nuovo immobile.
5. In deroga agli strumenti
urbanistici vigenti, al fine di adeguare, incentivare e valorizzare l’attività delle
aziende agricole, è consentita la realizzazione di nuove costruzioni ad uso
produttivo nella misura massima di 0,03 mc/mq di superficie aziendale. “
Tentativo che, pur condivisibile nel metodo,
non sembra dirimente nel merito, atteso che la norma non concede appigli per sostenere
la possibilità di una osmosi volumetrica tra facoltà di ampliamento “in deroga”
di edifici a cavallo di un confine intercomunale, limitandosi invece a
consentire ”… il
cumulo delle volumetrie di più edifici ricadenti nell’ambito fondiario
unitario, formato da particelle contigue, di proprietà del medesimo richiedente
…” .
Per proseguire ripartiamo, allora, da
considerazioni generali intorno alla domanda “se e in che misura la legislazione urbanistica generale e speciale
consente di affrontare il tema della edificabilità di aree ricadenti in due
Comuni limitrofi ?”
RIFERIMENTI
NORMATIVI
Iniziamo con l’osservare che il Piano Casa
Campania, pur non prevedendo una specifica disciplina regolatrice della
fattispecie particolare del "… … trasporto
del 20% della volumetria esistente dal Comune “B“ al Comune “A“
… … “, non è del tutto silente sulle questioni che afferiscono
alla possibilità che le problematiche edificatorie di un Comune possano essere
risolte con il “trasporto” volumetrico nei Comuni limitrofi.
Si veda, ad esempio, la previsione letterale
dell’art. 7 comma 5 bis della LRC19/09 e s.m.i. :
“Art. 7
Riqualificazione
aree urbane degradate
5-bis. Per le industrie
inquinanti o per quelle non compatibili con le attività residenziali limitrofe,
la sostituzione edilizia è consentita a
condizione della preventiva delocalizzazione dell’azienda in ambito regionale,
garantendo, con un apposito piano di delocalizzazione, l’incremento del dieci
per cento nei successivi cinque anni degli attuali livelli occupazionali. Il
piano di delocalizzazione si realizza attraverso il piano urbanistico attuativo
di cui alla legge regionale 22 dicembre 2004, n. 16”
e quella dell’art. 11-bis comma 1 bis della
LRC19/09 e s.m.i. :
“Art.11-bis
Disposizioni
per la delocalizzazione di immobili da aree a rischio idrogeologico molto
elevato e dalla zona rossa a rischio eruzione del Vesuvio
1. Al fine di prevenire il
rischio idrogeologico e quello di eruzione del Vesuvio e di salvaguardare
l’incolumità delle persone e la sicurezza degli insediamenti abitativi, è incentivata la delocalizzazione,
nell’ambito dello stesso comune o in altri comuni limitrofi, previo accordo tra
i medesimi, degli edifici residenziali contenenti unità abitative destinate
a prima casa ricadenti nelle aree classificate dall’Autorità di Bacino a
pericolosità o rischio da frana molto elevato, con riferimento ai fenomeni di
colata rapida o di crollo di volumi rocciosi per quanto riguarda il rischio
idrogeologico, e nella zona rossa del “Piano di Emergenza dell’area vesuviana”
del dipartimento di Protezione Civile, per quanto riguarda il rischio eruzione
del Vesuvio.”
Questo modo – opportuno e logico - di
ricercare soluzioni a situazioni particolari da parte del Legislatore campano, d’altronde
non è né nuovo né speciale, se si considera quanto dal medesimo stabilito fin
dalla LRC 14/82:
“REGIONE CAMPANIA
LEGGE REGIONALE N. 14 DEL 20-03-1982
Indirizzi programmatici e direttive fondamentali
relative all’esercizio delle funzioni delegate in materia di urbanistica, ai
sensi dell’art. 1 - II comma - della legge regionale 1º settembre 1981, n. 65.
ALLEGATO
Indirizzi e direttive per l’esercizio delle funzioni
delegate in materia di urbanistica.
1.8. Zone agricole.
Gli strumenti urbanistici generali dovranno
individuare le destinazioni colturali in atto per tutelare le aree agricole
particolarmente produttive, evitando che esse siano utilizzate a fini edilizi.
Nelle zone agricole l’indice di fabbricabilità
fondiaria sarà così articolato:
- Aree boschive, pascolive e incolte - 0,003 mc / mq;
- Aree seminative ed a frutteto - 0,03 mc / mq;
- Aree seminative irrigue con colture pregiate ed orti
a produzione ciclica intensiva - 0,05 mc / mq.
Nel computo dei volumi abitativi di cui sopra non sono
da conteggiarsi: stalle, i silos, i magazzini e i locali per la lavorazione dei
prodotti agricoli, in funzione della conduzione del fondo e delle sue caratteristiche
colturali e aziendali documentate, nonché gli impianti per la raccolta e la
lavorazione dei prodotti lattiero - caseari.
Per tali realizzazioni possono essere stabiliti indici
di fabbricabilità territoriali rispetto al fondo, non maggiore di 0,10 mc / mq;
altresì per gli allevamenti zootecnici che possono essere consentiti esclusivamente
nelle zone boschive, incolte e pascolive, non vanno superati i seguenti limiti:
- indice di copertura 0,05;
- minima distanza dai confini mt. 20.
Le esistenti costruzioni a destinazione agricola
possono, in caso di necessità , essere ampliate fino ad un massimo di 20%
dell’esistente cubatura, purché esse siano direttamente utilizzate per la conduzione
del fondo opportunamente documentata.
Per le necessità abitative dell’imprenditore agricolo
a titolo principale è consentito l’accorpamento di lotti di terreni non
contigui a condizione che sull’area asservita venga trascritto, presso la competente
Conservatoria Immobiliare, vincolo di inedificabilità a favore del Comune da
riportare successivamente su apposita mappa catastale depositata presso
l’Ufficio Tecnico Comunale.
In ogni caso l’asservimento non potrà consentirsi per
volumi superiori a 500 mc.
Per le aziende che
insistono su terreni di Comuni limitrofi è ammesso l’accorpamento dei volumi nell’area
di un solo Comune.
Tutte le aree la cui cubatura è stata utilizzata a
fini edificatori restano vincolate alla inedificabilità e sono evidenziate su
mappe catastali tenute in pubblica visione.
Nelle zone agricole la concessione ad edificare per le
residenze può essere rilasciata per la conduzione del fondo esclusivamente ai
proprietari coltivatori diretti, proprietari conduttori in economia, ovvero ai
proprietari concedenti, nonché agli affittuari o mezzadri aventi diritto a sostituirsi
al proprietario nell’esecuzione delle opere e considerati imprenditori agricoli
titolo principale ai sensi dell’art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153.”
Norma che ha consentito a molti Comuni di
prevedere – nella strumentazione urbanistico edilizia – un apparato di norme
volte alla soluzione di quelle particolari problematiche che si determinano per
la gestione della proprietà fondiaria che si articola lungo i confini
intercomunali.
Questa estrazione di riferimenti dal corpus
normativo ci consente, insomma, di affermare che l’ipotesi del "… … trasporto del 20% della volumetria
esistente dal Comune “B“
al Comune “A“ … … “,
in generale, merita di non essere valutata alla stregua di un tabù.
UN
PERCORSO DI LAVORO
E se non è un tabù si può costruire una
risposta che – ad esempio – si avvalga dei seguenti argomenti:
- al cospetto di un immobile ricadente in
due Comuni limitrofi, la possibilità di pervenire a soluzioni edificatorie
che coinvolgano due diverse entità amministrative dovrebbe essere la
regola e non l’eccezione, per il semplice motivo che i confini
amministrativi definiscono una realtà nominale, una invenzione con cui si
rendono applicabili i principi di gestione dei problemi reali di un
territorio e praticabili quelle iniziative di dettaglio invocate da
esigenze puntuali;
- a partire da questa considerazione
preliminare, assunta dal legislatore su un piano normativo generale mediante
l’indicazione di una serie di proposte solutive, si possono estrapolare
gli elementi utili per definire una serie di principi e/o requisiti cui
conformare le decisioni di dettaglio che – ad esempio – attengono
l’ipotesi del "… …
trasporto del 20% della volumetria esistente dal Comune “B“ al Comune “A“ … “ ;
- tra i principi insuperabili, di certo,
vanno annoverati :
- la salvaguardia degli equilibri
territoriali generali (il
trasferimento di volumi da un Comune a quello limitrofo non deve incrementare
il volume complessivamente previsto sui due Comuni);
- la salvaguardia delle specificità locali (il trasferimento di volumi da un
Comune a quello limitrofo non deve alterare il quadro delle destinazioni
urbanistiche pianificate dei rispettivi Comuni );
- la salvaguardia delle ragioni di
continenza (il
trasferimento di volumi da un Comune a quello limitrofo deve essere
limitato e finalizzato alla soluzione di casi circoscritti, essendo
inimmaginabile un trasferimento di massa verso ogni dove per scopi
voluttuari e/o speculativi);
- e via di questo passo.
- Applicando questi principi alla
fattispecie della “applicazione
del Piano Casa su un fabbricato rurale ricadente tra due Comuni”, e cioè ad “un immobile diviso in due parti di cui la prima ricade nel
territorio “A“ e la seconda, di maggiore
estensione, in quello “B“”, da realizzarsi mediante “ristrutturazione edilizia con l'ampliamento del 20%
computando tutta la volumetria esistente su entrambi i Comuni e
realizzando l'ampliamento del 20% di tale volumetria solo su quello “A“”, si potrebbero svolgere le seguenti
considerazioni:
- ad un livello sovra comunale non
dovrebbero derivarne conseguenze significative, atteso che il maggior
volume a costruirsi nel Comune di “A“ sarebbe compensato dal minor volume
edificabile nel limitrofo Comune di “B“;
- a livello locale, ove la volumetria a
trasferirsi sia relativamente contenuta ed il trasferimento avvenga su una
parte del medesimo immobile collocato – senza soluzioni di continuità – a
cavallo del confine Comunale “A“/“B“, e in costanza di destinazione
urbanistica (cioè a
condizione che il trasferimento volumetrico avvenga tra zone urbanistiche
omogenee dei Comuni limitrofi), l’interesse del Comune “A“ a porre veti di principio sarebbe
difficilmente argomentabile, in quanto – a meno di ragioni ostative di
tipo strutturale, vincolistico, ecc… , oggettive e qualificate – compito
della P.A. è anche di evitare, mediante l’esercizio della gestione del
territorio, di imporre inutili, inefficaci ed ingiustificate limitazioni
alla tutela degli interessi dei singoli
privati.
- Entro
tali limiti, in pratica, previa opportuna costruzione di un trasparente
percorso amministrativo che concluda in adeguate decisioni degli organi
competenti del Comune “B“ e “A“, consistenti nell’esplicito e reciproco
assenso e nella formulazione delle opportune condizioni operative, credo
di poter suggerire un condivisibile percorso di lavoro.
Cordiali saluti,
geom.
Bottone Marcellino
Piedimonte Matese, 4 settembre 2012
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