mercoledì 20 agosto 2014

OSSERVAZIONI al testo del ddl “PRINCIPI IN MATERIA DI POLITICHE PUBBLICHE TERRITORIALI E TRASFORMAZIONE URBANA”

Geom. Bottone Marcellino, Piedimonte Matese (CE), bmarcellino@email.it, Agosto 2014



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Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
SEGRETERIA TECNICA DEL MINISTRO
Gruppo di Lavoro “Rinnovo Urbano”

PRINCIPI IN MATERIA DI POLITICHE PUBBLICHE TERRITORIALI E TRASFORMAZIONE URBANA

Titolo I
PRINCIPI FONDAMENTALI IN MATERIA DI GOVERNO DEL TERRITORIO, PROPRIETÀ IMMOBILIARE E ACCORDI PUBBLICO-PRIVATO

Capo I
Politiche pubbliche territoriali, principi fondamentali del governo del territorio,
principi della pianificazione e relativi strumenti

Art. 1- Oggetto e finalità della legge
Art. 2 - Linee strategiche, finalità e principi per l’esercizio delle competenze
Art. 3 - Compiti e funzioni dello Stato
Art. 4 - Potere sostitutivo
Art. 5 - Principi e strumenti di coordinamento delle politiche in materia di “governo del territorio” e della pianificazione
Art. 6 - Dotazioni territoriali essenziali e ambiti territoriali unitari
Art. 7 - Pianificazione territoriale di area vasta e comunale

Capo II
Principi e strumenti a garanzia del trattamento unitario ed equo della proprietà
privata e fiscalità immobiliare
Art. 8 - Tutela della proprietà e indifferenza delle posizioni proprietarie
Art. 9 - Fiscalità immobiliare
Art. 10 - Perequazione
Art. 11 - Compensazione
Art. 12 - Trasferibilità e commercializzazione dei diritti edificatori
Art. 13 - Premialità

Capo III
Accordi tra amministrazione e privati in ambito urbanistico e giurisdizione
Art 14 - Accordi urbanistici
Art. 15 - Giurisdizione e strumenti di tutela

Titolo II
POLITICHE URBANE, EDILIZIA SOCIALE E SEMPLIFICAZIONI IN
MATERIA EDILIZIA
Art 16 - Rinnovo urbano
Art. 17 - Attuazione delle politiche di rinnovo urbano
Art. 18 - Edilizia residenziale sociale. Qualificazione del servizio
Art.19 - Edilizia residenziale sociale. Principi e forme d'incentivazione
Art. 20 - Semplificazioni in materia edilizia 2


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Titolo I
PRINCIPI FONDAMENTALI IN MATERIA DI GOVERNO DEL TERRITORIO, PROPRIETÀ IMMOBILIARE E ACCORDI PUBBLICO-PRIVATO

Capo I
Politiche pubbliche territoriali, principi fondamentali del governo del territorio,
principi della pianificazione e relativi strumenti

Art. 1
(Oggetto e finalità della legge)
1. La presente legge:
i) stabilisce i principi fondamentali in materia di «governo del territorio», in attuazione dell’articolo 117, comma 3 della Costituzione, garantendo lo sviluppo socio-economico, un razionale uso del suolo, la soddisfazione delle esigenze connesse al fabbisogno abitativo, privilegiando il rinnovo e la riqualificazione del patrimonio edilizio, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, consensualità, partecipazione, proporzionalità, concorrenza, leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni e tra queste ultime e i privati nella definizione e attuazione degli strumenti di pianificazione, semplificazione degli strumenti medesimi e non aggravamento dei procedimenti;
ii) attua gli articoli 117 e 119 della Costituzione, a integrazione della legge 5 maggio 2009, n. 42, mediante idonee misure fiscali che assicurino l’effettività delle politiche territoriali
iii) definisce e coordina le politiche territoriali, che incidono sull’assetto del territorio nazionale e sulla conformazione della proprietà;
iv) determina, nell’ambito delle politiche pubbliche territoriali di cui al punto i), le dotazioni territoriali essenziali di cui all’art. 6.
2. Il territorio, in tutte le sue componenti, culturali, ambientali, naturali, paesaggistiche, urbane, infrastrutturali, costituisce bene comune, di carattere unitario e indivisibile, che contribuisce allo sviluppo economico e sociale della Nazione.
3. Il «governo del territorio» consiste nella conformazione, nel controllo e nella gestione del territorio, quale bene comune di carattere unitario e indivisibile, ai sensi del comma 2, e comprende l’urbanistica e l’edilizia, i programmi infrastrutturali e di grandi attrezzature di servizio alla popolazione e alle attività produttive, la difesa, il risanamento e la conservazione del suolo. Le politiche del «governo del territorio» garantiscono la graduazione degli interessi in base ai quali possono essere regolati gli assetti ottimali del territorio e gli usi ammissibili degli immobili –suoli e fabbricati- in relazione agli obiettivi di sviluppo e di conservazione e ne assicurano la più ampia fruibilità da parte dei cittadini.
4. Ai proprietari degli immobili è riconosciuto, nei procedimenti di pianificazione, il diritto d'iniziativa e di partecipazione, anche al fine di garantire il valore della proprietà conformemente ai contenuti della programmazione territoriale. Le procedure di pianificazione assicurano la partecipazione dei privati anche nell’esecuzione dei programmi territoriali senza dar luogo a sperequazioni tra le posizioni proprietarie.



Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 1

L’art. 1, a dispetto dell’incipit secondo il quale “1. La presente legge:: i) stabilisce i principi fondamentali in materia di «governo del territorio» …”, non formula alcun sostanziale predicato, ponendo l’interprete nell’impossibilità di decrittare il corretto significato da attribuire ad obiettivi quali :
-         lo “sviluppo socio-economico(comma 1. lett. i);
-         il “razionale uso del suolo(comma 1. lett. i);
-         la “soddisfazione delle esigenze connesse al fabbisogno abitativo(comma 1. lett. i);
obiettivi certamente degni di essere “inclusi” in una attività di “«governo del territorio»”, ma evidentemente incapaci di designare e/o contenere l’universo problematico che richiede lo sforzo di una legislazione appropriata in una materia che “comprende l’urbanistica e l’edilizia(comma 3).
Dunque, la sostanziale carenza di enunciati affermativi va assolutamente compensata con la riscrittura di un testo che orienti inequivocabilmente quanto alla nuova strada scelta dal Legislatore dopo l’evidente abbandono dell’approccio netto, tematico, settoriale, della legislazione precedente (che, ad esempio, nella L. 1150/1942 non lasciava dubbi, enunciando:   Art. 1. Disciplina dell’attività urbanistica e suoi scopi - 1. L’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica sono disciplinati dalla presente legge.)
Con la riscrittura della norma, poi, dovrà scriminarsi con altrettanta chiarezza:
-         il significato di “territorio(comma 2);
-         il significato di  “governo del territorio(comma 3);
-         il rapporto tra questi significati.

Infatti:
-         se il territorio è quel “bene comune, di carattere unitario e indivisibile(comma 2) costituito da “tutte le sue componenti, culturali, ambientali, naturali, paesaggistiche, urbane, infrastrutturali(comma 2);
-         e se il governo del territorio “consiste nella conformazione, nel controllo e nella gestione del territorio (comma 3);
allora nella enunciazione delle “politiche del «governo del territorio» (comma 3,secondo periodo) non può mancare – come invece emerge dal testo – l’indicazione dei modi in cui si garantisce, si perviene o ci si assoggetta alle prevalenze valoriali delle componenti ”culturali, ambientali, naturali, paesaggistiche”.


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Art. 2
(Linee strategiche, finalità e principi per l’esercizio delle competenze)
1. Per l’attuazione delle politiche in materia di «governo del territorio», lo Stato e le Regioni e le Province autonome, nell’ambito del Quadro strategico europeo, definiscono le linee strategiche di intervento, in base all’art. 8, comma 6, della legge n. 131 del 2003.
2. Nell’esercizio delle rispettive competenze in materia di «governo del territorio» lo Stato, le Regioni e le Province autonome favoriscono la crescita inclusiva, lo sviluppo economico sostenibile e la coesione sociale e territoriale.
3. I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato esercitano le rispettive competenze in materia di “governo del territorio” nel rispetto dei principi di leale collaborazione, di proporzionalità, di sussidiarietà, di adeguatezza, di differenziazione, di partecipazione, nonché di trasparenza e di semplificazione dell’azione amministrativa. I principi richiamati si applicano anche ai rapporti tra soggetti pubblici e privati che partecipano alla pianificazione.
4. I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato elaborano la pianificazione di propria competenza, tenendo conto delle prospettive di sviluppo del territorio, delle sue peculiarità morfologiche, ambientali e paesaggistiche, delle culture insediative locali e della densità di popolazione presente e potenziale, assicurando il razionale uso del suolo


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 2

Alla luce delle recentissime decisioni parlamentari in materia di riforma della Costituzione, la norma e tutte le successive contenenti riferimenti ai compiti/funzioni delle cancellate “Province” andrà chiaramente riscritta.

Al comma 3 dell’art. 2 si opera una pericolosa rottura dei limiti costituzionali, elevando alla medesima parità/dignità/responsabilità soggetti pubblici e soggetti privati. Infatti, superando di gran lunga i “Principi generali dell’attività amministrativa” scolpiti all’art.1, comma 1 della Legge 241/90 (L’attività amministrativa … è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza …) si afferma che “ai rapporti tra soggetti pubblici e privati che partecipano alla pianificazione” si applicano anche quei “principi di leale collaborazione, di proporzionalità, di sussidiarietà, ” ecc… che si applicano nei rapporti tra “I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato”.

La norma, in disparte l’assoluta assenza di riferimento ai principi (elencati al precedente art.1 del DDL) che la legittimano, e dunque anche la prevedibile mole di questioni che è destinata ad aprire avanti la Corte Costituzionale, andrebbe comunque riscritta a favore di una ridefinizione dei rapporto pubblico/privato che tenga conto di una peculiarità insuperabile:
in una scelta di governo del territorio i soggetti pubblici operano per garantire interessi generali, diffusi, multi soggettivi, che non potranno mai ridursi ad una dimensione  singolare tale da rendere plausibile la concessione al privato della pretesa di un rapporto assolutamente paritario.


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Art. 3
(Compiti e funzioni dello Stato)
1. Lo Stato, nelle politiche in materia di «governo del territorio», concorre con le Regioni, le Province autonome e gli enti locali allo svolgimento delle attività conoscitive, di valutazione, di programmazione e di localizzazione degli interventi secondo le modalità specificate nella presente legge.
2. Lo Stato esercita la propria potestà legislativa nelle materie di competenza esclusiva interferenti con la materia «governo del territorio», tenendo conto delle linee strategiche deliberate d’intesa con le Regioni, ai sensi dell’art. 2, comma 1, e individua altresì le politiche generali in materia di tutela e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio, di assetto del territorio, di promozione dello sviluppo economico-sociale, di rinnovo urbano, di applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche per lo sviluppo urbano sostenibile ed il miglioramento dei servizi in ambito urbano.
3. Lo Stato partecipa alla formazione delle politiche territoriali europee e ne declina l’attuazione attraverso le politiche nazionali in materia di «governo del territorio», assicurando adeguate forme di coordinamento con le Regioni, e comunque nel rispetto del riparto costituzionale delle competenze.
4. Sono esercitate dallo Stato, nel rispetto delle suddette linee strategiche deliberate d’intesa con le Regioni, le funzioni amministrative connesse al governo del territorio relative alla difesa e alle Forze armate, all’ordine pubblico e alla sicurezza, alle competenze istituzionali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche in relazione alla difesa civile, nonché quelle relative alla protezione civile concernenti la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quelle relative alla tutela dei beni culturali, alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza statale nel rispetto del principio di leale collaborazione, all’individuazione in via concorrente dei beni paesaggistici, alla partecipazione alla gestione dei vincoli paesaggistici, previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 3

L’art 3 dovrebbe essere depurato dalle inutili ridondanze relative alla definizione dei compiti e funzioni dello Stato - e alla ripartizione dei medesimi fra Stato e Regioni – già scolpiti nella legislazione vigente (vedi tutta la codificazione relativa ai beni culturali e paesaggistici) :
svolgere enunciati su materie già regolate e non incise dalla neo-legislazione in materia di “governo del territorio” rischia solo di delineare intrecci normativi che possono – inutilmente - dar luogo ad una rete di nodi problematici.

Alla luce della sostanziale devoluzione (di cui si dirà a commento dei successivi art. 5 e 6) regionale del potere di stabilire Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765 da quasi mezzo secolo scolpiti nel “decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444”, l’art. 3 necessita di una sostanziale riscrittura che delinei il nuovo quadro di riferimento al quale riferire l’esercizio del “potere concorrente Stato/Regioni” in materia urbanistico/edilizia.

Nella nuova prospettiva proposta dal DDL, infatti, la limitazione delle funzioni dello Stato alla individuazione delle “politiche generali in materia di tutela e valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio, di assetto del territorio, di promozione dello sviluppo economico-sociale, di rinnovo urbano, di applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche per lo sviluppo urbano sostenibile ed il miglioramento dei servizi in ambito urbano(art. 3, comma 2), da attuarsi mediante la partecipazione “alla formazione delle politiche territoriali europee e ne declina l’attuazione attraverso le politiche nazionali in materia di «governo del territorio», assicurando adeguate forme di coordinamento con le Regioni, e comunque nel rispetto del riparto costituzionale delle competenze(art. 3, comma 3), ma non attraverso la fissazione di standard minimi generali (che l’art. 5, comma 6, riserva ad “una Direttiva Quadro Regionale (DQR)” adottata – in modo differenziato dalle Regioni), è da ritenersi  una innovazione che altera profondamente i limiti sin qui rispettati per fondare e condividere – ai sensi dell’art. 117 della Cost. -  l’esercizio di un “potere concorrente” capace di produrre “gestione unitaria del territorio”.


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Art. 4
(Potere sostitutivo)
1. Nell’esercizio delle proprie competenze legislative in materia di «governo del territorio» le Regioni assicurano il rispetto degli obiettivi individuati dalle intese concluse a norma dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131.
2. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni conformano, altresì, tempestivamente i propri atti di pianificazione sulla base della normativa statale e regionale, delle intese concluse a norma dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e degli atti che determinano vincoli alla pianificazione in base alla presente legge.
3. Qualora i Comuni, le Province e le Città metropolitane non conformino gli atti di pianificazione indicati, il Presidente della Giunta regionale, anche su iniziativa di altri enti locali, assegna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Presidente della Giunta, acquisito il parere del Consiglio delle Autonomie Locali e previa deliberazione della Giunta, adotta i provvedimenti necessari, o nomina un apposito commissario. Alla riunione della Giunta partecipa il Sindaco o il Presidente della Provincia interessata al provvedimento.
4. Il potere sostitutivo demandato al Governo è esercitato in base all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, nei soli casi in cui il mancato adeguamento alla normativa statale incida sulle competenze di cui all’articolo 117, comma secondo, della Costituzione, o si configurino le fattispecie dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 4

La prescrizione “Alla riunione della Giunta partecipa il Sindaco o il Presidente della Provincia interessata al provvedimento” riportata nell’ultimo periodo del 3 comma, contrasta con il vincolo enunciato all’art. 1, comma 1, lett. i), secondo il quale al “governo del territorio” si partecipa “nel rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, consensualità, partecipazione, proporzionalità, concorrenza, leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni e tra queste ultime e i privati nella definizione e attuazione degli strumenti di pianificazione, semplificazione degli strumenti medesimi e non aggravamento dei procedimenti”:
infatti, se la Regione è investita del potere di sostituirsi alle amministrazioni sottostanti inadempienti e può esercitare tale potere solo laddove sia stato assegnato e sia decorso inutilmente “un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari”, non v’è alcuna ragione (e dunque si traduce in un inutile “aggravamento” del procedimento) per consentire che gli “inadempienti” possano “condizionare” l’operato della Giunta Regionale.
Ove si opti per il mantenimento della prescrizione, è opportuno modificare il testo al fine di rendere innocua la decisione dell’inadempiente di partecipare o meno alla riunione della Giunta, ad esempio riformulando il periodo come segue: “Alla riunione della Giunta può partecipare, ove lo richieda e al solo fine di comunicare o essere sentito su aspetti che non siano stati già acquisiti agli atti, il Sindaco o il Presidente della Provincia interessata al provvedimento”.
 

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Art. 5
(Principi e strumenti di coordinamento delle politiche in materia di “governo del
territorio” e della pianificazione)
1. E’ fatto obbligo a tutte le Amministrazioni aventi potere di pianificazione di coordinare i rispettivi strumenti di pianificazione e di cooperare sul piano istituzionale per garantire la coerenza e l’efficacia degli strumenti medesimi.
2. Per l’attuazione delle politiche in materia di “governo del territorio” lo Stato adotta una Direttiva Quadro Territoriale (DQT). La DQT è approvata entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri per lo Sviluppo Economico, Lavoro e Politiche Sociali, l’ambiente e la tutela del territorio e del mare, per i beni e le attività culturali, delle Politiche agricole, alimentari e forestali, e della Salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
3. La DQT definisce gli obiettivi strategici di programmazione dell’azione statale e detta indirizzi di coordinamento al fine di garantire il carattere unitario e indivisibile del territorio, come definito all’art. 1. La DQT ha durata quinquennale ed è soggetta ad aggiornamento triennale. La DQT garantisce l’espressione della domanda pubblica di trasformazione territoriale che la pianificazione paesaggistica deve contemplare. Lo Stato inoltre adotta programmi d’intervento speciali, anche a valenza territoriale, al verificarsi di particolari condizioni di necessità, coordinando la sua azione con quella delle Regioni. Gli interventi speciali sono effettuati in determinati ambiti territoriali, ai sensi del quinto comma dell’articolo 119 della Costituzione, allo scopo di rimuovere condizioni di squilibrio territoriale, economico e sociale, di superare situazioni di degrado ambientale e urbano, di promuovere politiche di sviluppo economico locale, di coesione e di solidarietà sociale coerenti con le prospettive di sviluppo sostenibile, e di favorire la rilocalizzazione di insediamenti esposti ai rischi naturali e tecnologici e la riqualificazione ambientale dei territori danneggiati.
4. Le leggi regionali definiscono gli strumenti di pianificazione regionale e locale, nel rispetto dei principi di cui all’art. 1 e secondo le indicazioni contenute agli articoli 6 e 7 della presente legge, individuando le modalità di coordinamento tra i detti strumenti, la pianificazione di settore e la DQT.
5. Per le finalità di cui al comma 4, le Regione e le Provincie autonome, d’intesa con gli enti locali, adotta una Direttiva Quadro Regionale (DQR) che individua la programmazione e le linee e modalità di coordinamento della pianificazione regionale con quella di competenza degli enti locali medesimi e delle autorità di settore.
6. Nell’ambito della DQR, la Regione, al fine di garantire un razionale uso del suolo, detta indirizzi per la definizione delle densità edilizie ottimali di riferimento per la pianificazione urbanistica, tenendo conto delle culture insediative locali, delle caratteristiche strutturali del territorio e delle dotazioni territoriali in essere e programmate, della popolazione presente e prevista, della condizione socio-economica dei comuni, assicurando il raggiungimento delle dotazioni territoriali essenziali di cui all’art. 6, ed elabora la cartografia di base e gli studi di settore che le amministrazioni locali e i privati dovranno utilizzare.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 5

Dovrebbe essere assolutamente chiarito il senso oscuro dell’enunciato: “La DQT garantisce l’espressione della domanda pubblica di trasformazione territoriale che la pianificazione paesaggistica deve contemplare.”, riportato all’art. 3, secondo periodo, non risultando altrimenti individuabile, nell’intero articolato del DDL, un glossario (o enunciati di analogo valore) che ne illustri, in modo diretto o per relationem, il senso pratico o giuridico-normativo .

Dalla piramide delle competenze delineata dal primo a sesto comma dell’art. 5 emerge che ”l’attuazione delle politiche in materia di “governo del territoriosarà regolata da:
-      una “Direttiva Quadro Territoriale (DQT)” adottata dallo Stato;
-      e da una successiva “Direttiva Quadro Regionale (DQR)” adottata dalla Regione.

Resta incomprensibile, però, in che modo l’obiettivo della “Direttiva Quadro Territoriale (DQT)”, cioè ”di garantire il carattere unitario e indivisibile del territorio, come definito all’art. 1., sia raggiungibile attraverso DIRETTIVE QUADRO REGIONALI ognuna delle quali:
-      potrà contenere distinti e diversi indirizzi “per la definizione delle densità edilizie ottimali di riferimento per la pianificazione urbanistica”;
-      potrà tener conto in modo diverso “delle culture insediative locali, delle caratteristiche strutturali del territorio e delle dotazioni territoriali in essere e programmate, della popolazione presente e prevista, della condizione socio-economica dei comuni”;
-      potrà assicurare in modo diverso “il raggiungimento delle dotazioni territoriali essenziali di cui all’art. 6, ed elabora la cartografia di base e gli studi di settore che le amministrazioni locali e i privati dovranno utilizzare”.

La scelta di regionalizzare “la definizione delle densità edilizie ottimali di riferimento per la pianificazione urbanistica”, cioè la scelta di sottrarre a un quadro comune unitario generale il quadro delle limitazioni all’edificazione, all’urbanizzazione, all’antropizzazione, ecc…, smentisce l’obiettivo dichiarato del DDL di governare un TERRITORIO “in tutte le sue componenti, culturali, ambientali, naturali, paesaggistiche, urbane, infrastrutturali, costituisce bene comune, di carattere unitario e indivisibile, che contribuisce allo sviluppo economico e sociale della Nazione(art. 1, comma 2), traducendosi nell’evidente attuazione di un federalismo urbanistico privo di connotati ed ispirazione unitaria.


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Art. 6
(Dotazioni territoriali essenziali e ambiti territoriali unitari)
1. La pianificazione e la programmazione del territorio devono prevedere la dotazione di attrezzature pubbliche, e di servizi di interesse pubblico, collettivo e generale per garantire, sul territorio nazionale, la dotazione delle reti e delle infrastrutture che consentono l’accessibilità alle attrezzature urbane e territoriali e la mobilità delle persone e delle merci.
2. Costituiscono dotazioni territoriali essenziali, indispensabili per il raggiungimento dei livelli di qualità urbana e per la realizzazione di interventi organici di riqualificazione dei tessuti edilizi, nonché di infrastrutturazione del territorio, gli immobili e le attività gestionali finalizzati alla fornitura dei servizi relativi ai seguenti diritti di cittadinanza:
a) salute, assistenza sociale e sostegno delle famiglie;
b) istruzione, innovazione e ricerca;
c) fruizione del tempo libero, del verde pubblico, della cultura, sport e spettacolo;
d) mobilità e accessibilità, trasporto delle persone e delle merci e collettivo, infrastrutture immateriali a rete;
e) godimento del paesaggio, del patrimonio storico-artistico e dell’ambiente;
f) sostegno dell'iniziativa economica in coerenza con l’utilità sociale e la sicurezza del lavoro;
g) esercizio della libertà di religione e di espressione etico-sociale, di associazione a fini comunitari e culturali;
h) servizio abitativo ed edilizia residenziale sociale.
3. Lo Stato, anche mediante le intese di cui al comma 6, articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n.131 in sede di Conferenza unificata, definisce i livelli quantitativi e qualitativi delle dotazioni territoriali essenziali, tenendo conto della differenziazione delle amministrazioni comunali per soglia demografica, per condizioni economiche e sociali e per ulteriori elementi di diversificazione o di omogeneità stabiliti d’intesa con le Regioni e le autonomie locali.
4. Le Regioni, entro centottanta giorni dalla definizione dei livelli quantitativi e qualitativi di cui al comma 3, con proprie leggi garantiscono che gli strumenti del “governo del territorio” comprendano la programmazione e la pianificazione della dotazione e della gestione dei servizi primari, secondari e di interesse generale, individuando le opere e gli elementi gestionali necessari al soddisfacimento della domanda dei servizi di cui al comma 2, ivi incluse le aree o gli immobili necessari per il soddisfacimento dei fabbisogni di edilizia residenziale sociale, nonché coordinando la disciplina relativa alla gestione dei servizi sociali e delle attività di assistenza alla persona. Le previsioni delle dotazioni territoriali devono basarsi su approfondite e adeguate analisi dei contesto e documentare il fabbisogno pregresso e futuro, lo stato effettivo di accessibilità e di fruibilità dei servizi pubblici, di interesse pubblico e generale, determinando le modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici attraverso i quali viene assicurata la fornitura e la qualità di tali servizi, in relazione alle politiche sociali, locali e sovralocali, anche tramite il concorso di soggetti privati.
5. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile in relazione al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile, in sede di pianificazione sono determinati ambiti territoriali unitari, le cui caratteristiche sono definite con legge regionale. La legge regionale determina per ogni ambito territoriale unitario, oltre alle dotazioni territoriali essenziali secondo le indicazioni di cui ai commi precedenti, i limiti di riferimento di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e dotazioni territoriali essenziali. La proprietà privata è conformata in base ai suddetti ambiti territoriali unitari e alle previsioni di pianificazione di carattere operativo.
6. Dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali di cui ai commi 4 e 5, perde efficacia il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444, relativo ai “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765”.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 6

L’art. 6 appare problematico sotto diversi profili, atteso che annuncia la scelta di passare ad una legislazione liquida senza tracciare i confini di quello che – benché nuovo – è pur sempre un orizzonte, un quadro di riferimento.

Ad esempio, nella formulazione dell’art. 6 si contraddicono i principi enunciati dal medesimo DDL all’art. 1, comma 3, e cioè che ”Il «governo del territorio» consiste nella conformazione, nel controllo e nella gestione del territorio, quale bene comune di carattere unitario e indivisibile, ai sensi del comma 2, e comprende l’urbanistica e l’edilizia, i programmi infrastrutturali e di grandi attrezzature di servizio alla popolazione e alle attività produttive, la difesa, il risanamento e la conservazione del suolo“, mentre “Le politiche del «governo del territorio» garantiscono la graduazione degli interessi in base ai quali possono essere regolati gli assetti ottimali del territorio e gli usi ammissibili degli immobili –suoli e fabbricati- in relazione agli obiettivi di sviluppo e di conservazione e ne assicurano la più ampia fruibilità da parte dei cittadini.”. Infatti :
-      a quale appiglio si sostiene la disposizione secondo la quale “la disciplina relativa alla gestione dei servizi sociali e delle attività di assistenza alla persona(art. 6, comma 4, primo periodo), oppure ”lo stato effettivo di accessibilità e di fruibilità dei servizi pubblici, di interesse pubblico e generale(art. 6, comma 4, secondo periodo), e finanche la valutazione delle ”modalità, i criteri e i parametri tecnici ed economici attraverso i quali viene assicurata la fornitura e la qualità di tali servizi(art. 6, comma 4, secondo periodo), debbano fondare/orientare la formazione degli “strumenti del “governo del territorio(art. 6, comma 4, primo periodo)?
-      a quale appiglio si sostiene la disposizione secondo la quale “Le previsioni delle dotazioni territoriali devono … documentare il fabbisogno pregresso …(art. 6, comma 4, secondo periodo) oltre che quello “futuro” ?
-      non sono, queste, problematiche legittime ma evidentemente da affrontare sul diverso piano della individuazione delle “politiche del «governo del territorio»“ ?


Sempre nella formulazione dell’art. 6 si introduce un modello di pianificazione regionale per “ambiti territoriali unitari(art. 6, comma 5, primo periodo) di cui:
-      non si è preannunciata significazione nel precedente articolato del DDL;
-      non si danno elementi connotativi nell’art. 6 ;
-      non si definisce la convivenza, la sovrapposizione o la eventuale coincidenza con ”La pianificazione territoriale di area vasta, come definita dalle leggi regionali, è funzione fondamentale esercitata dalle Province. Questa funzione è attribuita alle Città metropolitane, ove esistenti“ declamata al successivo art. 7 comma 1;
-      si dovrebbe quantomeno enunciare una indicazione di scopo, visto che è caratterizzato  da un dettaglio puntuale e condizionante laddove indica limiti “di riferimento di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati, nonché i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e dotazioni territoriali essenziali” equivalenti ad un piano di lottizzazione sovracomunale o intercomunale.

Nella formulazione dell’art. 6, infine, è assolutamente incomprensibile il senso pratico/giuridico attribuibile al comma 6: “Dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali di cui ai commi 4 e 5, perde efficacia il decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444, relativo ai “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765.

Infatti, se l’obiettivo del Legislatore è – come si e osservato a commento del precedente art. 5  - di REGIONALIZZARE “la definizione delle densità edilizie ottimali di riferimento per la pianificazione urbanistica”:
-      non ha senso sancire la perdita di efficacia del DM 1444/1968 dopo l’emanazione delle Leggi Regionali di cui ai commi 4 e 5, perché queste Leggi Regionali dovrebbero necessariamente essere state formulate ed approvate nel rispetto del DM 1444/1968 (unico riferimento generale vigente);
-      e il non sense della norma è tanto più evidente ove ci si chieda per quale ragione la voglia di disfarsi del  DM 1444/1968 non sia enunciata - nel DDL - sic et simpliciter mediante una normale formula abrogativa; 
-      è di tutta evidenza, infatti, che senza il  DM 1444/1968 nessuna formulazione delle Leggi Regionali di cui ai commi 4 e 5 sarebbe possibile, in quanto nessuna potrebbe garantire il rispetto del principio di “unitarietà” del territorio dello Stato (Art.1, comma 2 - Il territorio, in tutte le sue componenti, culturali, ambientali, naturali, paesaggistiche, urbane, infrastrutturali, costituisce bene comune, di carattere unitario e indivisibile, che contribuisce allo sviluppo economico e sociale della Nazione) reso prescrittivo e inderogabile dal DDL (Art. 5, comma 4 - Le leggi regionali definiscono gli strumenti di pianificazione regionale e locale, nel rispetto dei principi di cui all’art. 1 …  )


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Art. 7
(Pianificazione territoriale di area vasta e comunale)
1. La pianificazione territoriale di area vasta, come definita dalle leggi regionali, è funzione fondamentale esercitata dalle Province. Questa funzione è attribuita alle Città metropolitane, ove esistenti.
2. Il Comune esercita la pianificazione e urbanistica del proprio territorio, che si articola in:
a) una pianificazione di carattere programmatorio, a efficacia conoscitiva e ricognitiva;
b) una pianificazione di carattere operativo, a efficacia attuativa.
I contenuti e i procedimenti di adozione e approvazione dei suddetti piani sono disciplinati dalla legge regionale, nel rispetto dei principi dettati dall’art. 1 e dai commi seguenti.
3. Lo strumento comunale di pianificazione urbanistica di cui al comma 2 sub a), comunque denominato, non ha efficacia conformativa della proprietà e degli altri diritti reali, con ogni conseguenza, anche sul piano del trattamento fiscale, della proprietà immobiliare. E’ abrogato l’art. 36, comma 2 D.L. 4 luglio 2006 n. 223, conv. in Legge 4 agosto 2006, n. 248 e le norme in contrasto con la presente disposizione.
4. Per i Comuni dotati di strumentazione urbanistica generali, nelle more della ridefinizione del contenuto dei piani secondo quanto stabilito dal comma 2, l’imposizione fiscale immobiliare si applica al momento dell’approvazione del piano che abbia i caratteri del piano operativo di cui al comma 2, lett. b).
5. Nella definizione e attuazione degli strumenti di pianificazione di cui al comma 2, il Comune attua i principi di concorrenza, partecipazione, flessibilità, leale collaborazione con il privato e con le altre amministrazioni, semplificazione dei procedimenti e rispetto dei tempi, tutela del legittimo affidamento. Gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale devono essere motivati.
6. In attuazione del principio di cooperazione istituzionale, i Comuni coinvolgono gli enti pubblici proprietari e gli enti vigilati dagli stessi, ovvero i gestori istituzionali dei patrimoni immobiliari pubblici, nel rispetto del principio di concorrenza, per la definizione degli obiettivi e delle scelte individuate dagli strumenti di governo del territorio per il suddetto patrimonio, nell’ambito della formazione dei medesimi strumenti, per definire le strategie di trasformazione di detti patrimoni, in coerenza con le previsioni della pianificazione urbanistica.
7. Nell’ambito della formazione del piano operativo, secondo il principio di sussidiarietà, i privati, singoli o associati, possono presentare proposte per operazioni di trasformazione urbanistica di maggiore complessità funzionale, gestionale ed economico – finanziaria. Le proposte, corredate da progetti di fattibilità, si intendono come preliminari di piani urbanistici attuativi. I Comuni valutano le proposte pervenute verificandone la rispondenza alle esigenze di dotazioni territoriali già definite ed ai requisiti prestabiliti dal Comune medesimo. I Comuni possono attribuire misure premiali di carattere urbanistico-edilizio alle proposte ritenute migliori in rapporto alla convenienza collettiva che ne deriva, privilegiando le proposte che innovano il sistema delle attività – funzioni urbane, valutando la qualità del processo e del prodotto urbano che sarà raggiunta dall’operazione di trasformazione.
8. Le Regioni stabiliscono, tenuto conto della dimensione degli enti locali e nel rispetto del principio di buon andamento e proporzionalità, i tempi massimi entro cui deve essere approvato il piano operativo da parte del Comune, che non possono in ogni caso essere superiori a cinque anni per i Comuni di dimensioni maggiori, ed a dieci anni per le Città metropolitane. La mancata approvazione del piano operativo nel termine massimo indicato comporta la decadenza delle previsioni del piano a contenuto programmatorio. Nelle more restano validi i piani vigenti.
9. Le Regioni incentivano la pianificazione urbanistica intercomunale, con l’approvazione di piani urbanistici che si estendono al territorio di più Comuni.
10. Il cambio di destinazione d’uso nell’ambito dei centri urbani non richiede autorizzazione laddove la nuova destinazione d’uso non necessiti di ulteriori dotazioni territoriali rispetto a quelle esistenti
11. La legge regionale, al fine di contenere l’ulteriore occupazione di suolo da parte degli insediamenti residenziali e produttivi, commisura l’entità del contributo per oneri di urbanizzazione, comunque denominati, in rapporto alla densità edilizia, prevedendo, per gli insediamenti di minore densità, un aumento proporzionale del predetto contributo.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 7

Come già osservato a commento del precedente art. 6, non è chiaro se all’art. 7, comma 1, si annunci uno strumento di pianificazione distinto da quello descritto all’art. 6, comma 5, tanto da far ritenere che tra il livello Regionale e quello Comunale debbano sussistere, contemporaneamente :
-      una pianificazione intermedia per “ambiti territoriali unitari(art. 6, comma 5, primo periodo) ;
-      e una pianificazione intermedia per “area vasta(art. 7, comma 1).

Il dubbio che non si tratti di due definizioni diverse di uno stesso strumento di pianificazione è alimentato dal fatto che :
-      mentre per la formazione dei primi si rinvia alle nuove Leggi Regionali da emanarsi ai sensi del DDL  (artt. 5 e 6);
-      per la formazione dei secondi si rinvia, mediante il comma 1 dell’art. 7 del DDL “La pianificazione territoriale di area vasta, come definita dalle leggi regionali, è funzione fondamentale esercitata dalle Province. Questa funzione è attribuita alle Città metropolitane, ove esistenti.“, alla legislazione vigente (cosiddetta riforma Del Rio, LEGGE 7 aprile 2014, n. 56 - Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni – ove si afferma: Art.1 , comma 85 - Le province di cui ai commi da 51 a 53, quali enti con funzioni di area vasta, esercitano le seguenti funzioni fondamentali: a)  pianificazione  territoriale  provinciale   di   coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente,  per  gli  aspetti  di competenza;  … ).


L’articolazione della pianificazione Comunale, su due livelli (art. 7, comma 2).:
-      a) una pianificazione di carattere programmatorio, a efficacia conoscitiva e ricognitiva;
-      b) una pianificazione di carattere operativo, a efficacia attuativa.
reitera un modulo differenziale già conosciuto, ma senza risolverne i limiti e con un’approssimazione che non fornisce risposte in ordine alla loro intrinseca qualità e rilevanza, ai loro rapporti reciproci, alla relativa tempistica funzionale, ai limiti reali della loro consistenza/congruenza regolatoria rispetto alla aleatorietà della loro persistenza storico-giuridica.

Nel nuovo sistema di governo del territorio propugnato dal DDL, infatti, si nutrono forti aspettative dall’apertura ad enti (i gestori istituzionali dei patrimoni immobiliari pubblici) e privati (i privati, singoli o associati, possono presentare proposte per operazioni di trasformazione urbanistica di maggiore complessità funzionale, gestionale ed economico – finanziaria) portatori di particolari interessi e risorse economiche, accreditando i Comuni come interlocutori privilegiati per individuare modi e  forme per concretizzare le suscettività attese.

Privilegiati non solo perché “valutano le proposte pervenute verificandone la rispondenza alle esigenze di dotazioni territoriali già definite ed ai requisiti prestabiliti dal Comune medesimo”, dunque senza un atteggiamento eccessivamente rigido rispetto alla pianificazione disegnata o in atto, ma addirittura perché detentori di un salvadanaio di “misure premiali di carattere urbanistico-edilizio” appetibile e disponibile al di là delle rigidità della programmazione generale, sia essa Comunale, Provinciale o Regionale … (sic!).

Assumendo un ruolo cosi invasivo nel mercato edilizio, i Comuni si approprieranno di un ruolo regolatorio ben superiore a quello di “gestori” del territorio “bene comune” e, dunque, in assenza di un quadro delle limitazioni generali, è del tutto prevedibile che l’attività regolatoria della pianificazione locale assuma valore sempre più contingente, approssimativo, aleatorio e – in definitiva – insignificante.

La nuova articolazione della pianificazione Comunale secondo lo schema indicato all’art. 7 comma 2, inoltre, innova fortemente rispetto alla storica qualificazione dei piani urbanistici locali, caratterizzati da una operatività a efficacia progressiva (il piano regolatore e i piani attuativi), affermando che tutto il piano generale deve avere “carattere operativo, a efficacia attuativa. (art. 7, comma 2, lett. b).
Nel nuovo modulo proposto dal DDL, però, benché si assegni un forte ruolo alla partecipazione del privato ed alla sua capacità di incidere sulla pianificazione promuovendo proprie iniziative e soluzioni, resta assolutamente inespresso il modo di gestire un piano generale dal momento in cui diventa “operativ0, a efficacia attuativa” al momento di cui il sistema degli accordi pubblico/privati lo rende “eseguibile/esecutivo”.


Il comma 9 dell’art. 7, “Le Regioni incentivano la pianificazione urbanistica intercomunale, con l’approvazione di piani urbanistici che si estendono al territorio di più Comuni”, pur essendo comprensibile il tentativo di realizzare organizzazioni pianificatorie “significative”, dunque a scala non troppo piccola e frastagliata, si inserisce nel DDL senza essere preceduto da un corpus di principi che lo rendano concretamente praticabile: infatti, l’unitarietà di una gestione del territorio che includa diversi territori comunali implica una unitarietà della gestione anche sul piano politico-amministrativo per la quale non si ha copertura legislativa generale adeguata, operativa, capace di stimolare convergenze invece che conflitti.

Il comma 10 dell’art. 7, ”Il cambio di destinazione d’uso nell’ambito dei centri urbani non richiede autorizzazione laddove la nuova destinazione d’uso non necessiti di ulteriori dotazioni territoriali rispetto a quelle esistenti”, confligge con la tesi del DDL di designare principi generali in materia di gestione del territorio, atteso che enuncia una facoltà che attiene ad un dettaglio già affidato (e definito) alla potestà regionale (dpr 380/01 e s.m.i., art. 10, comma 3: “Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.”) . Con l’aggravante di introdurre un parametro  difficilmente utilizzabile (a dir poco), in quanto commensurabile solo in presenza di una organizzazione puntuale dei Comuni che :
-         computi la misura delle dotazioni territoriali esistenti al momento dell’approvazione dello strumento di pianificazione o alla data di entrata in vigore della norma in commento;
-         computi la misura delle mutazioni d’uso possibili in quanto coperte dalle “dotazioni territoriali” esistenti;
-         assicuri la tenuta di un registro aggiornato delle variazioni nel tempo (in aumento o in diminuzione) della misura delle “dotazioni territoriali”.

Il comma 11 dell’art. 7, “La legge regionale, al fine di contenere l’ulteriore occupazione di suolo da parte degli insediamenti residenziali e produttivi, commisura l’entità del contributo per oneri di urbanizzazione, comunque denominati, in rapporto alla densità edilizia, prevedendo, per gli insediamenti di minore densità, un aumento proporzionale del predetto contributo.“, reitera il limite di fondo del DDL di enunciare una legislazione sul “Governo del Territorio” e, invece, attardarsi nella produzione di norme di dettaglio che si giustificano solo in ragione di analisi di dettaglio.
Ad esempio, se il fine del comma 11 si giustifica ed è compatibile con un processo di pianificazione che riguardi realtà/complessità territoriali medio-grandi, potrebbe essere invece del tutto controproducente in un processo di pianificazione che riguardi quel microcosmo di piccoli comuni, piccoli centri montani, nei quali l’abbandono dell’edificato potrebbe essere necessitato da fenomeni di instabilità, da esigenze di riallineamento agli standard territoriali, e – non esclusi – di opportunità (si pensi all’esigenza di contenere e diradare il costruito alle falde del Vesuvio …).


Infine, è assolutamente condivisibile la prescrizione del comma 5, ultimo periodo, dell’art. 7 “Gli strumenti di pianificazione urbanistica comunale devono essere motivati.”, poiché obbliga ancor più la P.A. all’ottimizzazione procedimentale e alla trasparenza dei percorsi decisionali.
A fronte delle notevoli “possibilità” di variare, nel tempo, le pianificazioni locali, sarebbe opportuno che estendere l’obbligo di motivazione ad ogni atto successivo che incida sui fini/obiettivi/regole condivisi o imposti ad una comunità.

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Capo II
Principi e strumenti a garanzia del trattamento unitario ed equo della proprietà
privata e fiscalità immobiliare


Art. 8
(Tutela della proprietà ed indifferenza delle posizioni proprietarie)
1. Il governo del territorio è regolato in modo che sia assicurato il riconoscimento e la garanzia della proprietà privata, la sua appartenenza e il suo godimento.
2. La disciplina della conformazione della proprietà privata, al fine di renderla funzionale agli obiettivi della programmazione territoriale, rispetta il principio di indifferenza delle posizioni proprietarie. I proprietari hanno il diritto di partecipare alla determinazione dei contenuti della programmazione territoriale, conformemente ai fini generali della medesima.
3. I limiti alla proprietà privata, necessari alla programmazione territoriale, sono giustificati dagli obiettivi sociali della programmazione e realizzano una migliore accessibilità al diritto di proprietà privata.
4. Le limitazioni apposte alla proprietà privata che non hanno carattere generale e che non riguardano in generale una categoria di beni economici sono compensate. La compensazione rende indifferente le limitazioni. La categoria di beni economici ricomprende i beni che presentano le medesime caratteristiche socio-economiche e che sono posti in posizione corrispondente rispetto ai fini della programmazione territoriale.
5. La proprietà dell’abitazione è salvaguardata. La programmazione territoriale tiene conto dei bisogni abitativi e contiene previsioni particolari che garantiscono l’accesso alla proprietà dell’abitazione.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 8

Il comma 3 dell’art. 8 andrebbe riscritto, apparendo evidentemente una contraddizione in termini l’asserzione che “I limiti alla proprietà privata … realizzano una migliore accessibilità al diritto di proprietà privata.(ciò che migliora non può considerarsi un limite).

L’intero art. 8, per altro, merita una riscrittura attenta a non vagheggiare – con enunciati apparentemente scontati e ridondanti – una inespressa abrogazione di principi e modalità variamente sparsi nella normativa vigente.
Al comma 4, ad esempio, non è chiaro :
-         se si delinea una disciplina che innova, rispetto alla vigente legislazione, la materia dei “vincoli urbanistici”, della loro durata, della loro indennizzabilità ecc… ;
-         e, in tal caso, a quali nuovi principi sostanziali si dovrà dare sostanza operativa.


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Art. 9
(Fiscalità immobiliare)
1. L'imposizione fiscale sulla proprietà privata immobiliare risponde al criterio di proporzionalità e non costituisce, in ragione della sua misura, un limite all'accesso alla proprietà e alla sua conservazione.
2. Le leggi in materia di tributi propri dei comuni garantiscono agli stessi una adeguata flessibilità per favorire il perseguimento delle politiche territoriali di cui alla presente legge.
3. Per i fini di cui ai commi 1 e 2 le agevolazioni fiscali per le unità immobiliari adibite ad abitazione principale sono prioritariamente previste nella disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.
4. La disciplina dell’imposta sul reddito delle persone fisiche assicura altresì nelle opportune misure la deduzione dal reddito dei canoni di locazione per le suddette unità immobiliari, anche per i contratti diversi da quelli di cui alla legge 9 dicembre 1998, n. 431.
5. Le imposte locali sugli immobili e sui servizi indivisibili afferenti gli immobili, in attuazione del principio del beneficio, sono commisurate anche all’indice di densità edilizia di cui al comma 6 dell’art. 5 della presente legge, con una progressiva riduzione per le zone di maggiore densità edilizia.
6. In attuazione del medesimo principio sono previsti tributi o entrate proprie dei comuni a fronte di servizi indivisibili resi a soggetti non titolari di immobili nel territorio comunale.
7. La disciplina dei tributi diretti ed indiretti tiene conto della assenza di efficacia conformativa della proprietà e degli altri diritti reali dello strumento di pianificazione urbanistica comunale, come stabilito al comma 2 sub a) e al comma 4 dell’art. 7.
8. Le leggi tributarie, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, agevolano le locazioni e le cessioni di fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali, come definiti dall’articolo 19 della presente legge, nonché i contratti stipulati per la loro costruzione.
9. Le leggi in materia di tributi immobiliari garantiscono la deducibilità degli stessi dalle imposte sui redditi e dall’IRAP in capo alle imprese e agli enti commerciali e la loro non applicabilità a carico degli immobili destinati alla vendita o alla rivendita che non siano utilizzati.
10. Gli immobili soggetti a vincoli di interesse generale di ogni genere non sono soggetti a tassazione.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 9

La collocazione dell’art.9 nell’ambito della statuizione dei “PRINCIPI IN MATERIA DI POLITICHE PUBBLICHE TERRITORIALI E TRASFORMAZIONE URBANA“ appare inopportuna, per la ragione di fondo che le esigenze/opportunità che regolano i tempi, le ragioni e gli obiettivi della fiscalità sono troppo mutevoli e mal si conciliano con l’imbracatura di una legislazione che tende ad un orizzonte più stabile.

L’eventuale tentativo di stabilire connessioni forti tra pianificazione e fiscalità va, in ogni caso, ricondotto alla declinazione di principi generali, che rifuggano la tendenza a porre paletti che precostituiscano nuovi, benchè indesiderati, vincoli.

Ad esempio:
-         se si fonda la pianificazione sui i principi dell’indifferenza delle posizioni proprietarie (art. 8, comma 2), del diritto a compensazione delle limitazioni poste dalla pianificazione (art. 8, comma 4), del diritto all’accesso all’abitazione (art. 8, comma 5), e del diritto ad una imposizione fiscale proporzionale (art. 9, comma 1);
-         non si può far discendere da tali principi di equità una pratica fiscale condizionante e discriminante;
-         in altre parole, l’obiettivo del “contenimento del consumo di suolo” (art. 7, comma 11) è legittimo ma va perseguito con l’assunzione di pianificazioni locali responsabili e adeguate (valga per tuti il caso recente del Comune di Cernusco sul Naviglio esaminato dal Tar Lombardia-Milano, Sez. II, sent. 1465 del 5/6/2014, in cui si è ribadito che l'esercizio dei poteri di pianificazione ben possono tradursi nell'imposizione di indici edificatori particolarmente contenuti, in quanto ciò rientra certamente  nell'ambito del potere di cui il comune dispone nella determinazione dell'assetto territoriale mediante la funzione pianificatoria), non certo con il raggiro di una promessa di edificazione poi tradita da una tassazione persecutoria;
-         insomma si può decidere una legislazione fiscale differenziata, ma non la si può fondare su principi di governo del territorio non discriminanti e/o inconferenti rispetto all’oggetto della pretesa tributaria: in materia di oneri urbanistici, dunque, prevedere che ”La legge regionale … commisura l’entità del contributo per oneri di urbanizzazione, comunque denominati, in rapporto alla densità edilizia, prevedendo, per gli insediamenti di minore densità, un aumento proporzionale del predetto contributo.” (art. 7, comma 11) è insensato, come lo è – in materia in materia di tassazione per i servizi indivisibili – stabilire che ”Le imposte locali …  sono commisurate anche all’indice di densità edilizia di cui al comma 6 dell’art. 5 della presente legge, con una progressiva riduzione per le zone di maggiore densità edilizia.(art. 9, comma 5), perché entrambi gli addebiti fanno capo a diritti/utilità (di infrastrutturazione territoriale e di servizio) che non  aumentano dal centro (dove la densità edilizia è massima) alla periferia (dove la densità edilizia è minima), ma che – esattamente al contrario – “diminuiscono“ dal centro alla periferia.

Traslare l’equità di un regime di tassazione sugli immobili dal riconoscimento della pari dignità proprietaria nella definizione degli strumenti di pianificazione è palesemente incongruente. E lo è tanto più se ci si appella – adottandolo come parametro di conversione o mediatore - “all’indice di densità edilizia di cui al comma 6 dell’art. 5 della presente legge(art. 9, comma 5):
-         cioè ad un “decreto ministeriale 2 aprile 1968, n.1444” destinato a perdere efficacia “Dalla data di entrata in vigore delle leggi regionali di cui ai commi 4 e 5”;
-         e comunque a un indice, che - se anche non perdesse efficacia il DM 1444/1968 – non decide né sulla reale potenzialità edificatoria di un un’area né sulla sua capacità reddituale.
-         a un indice, infine, che si attaglia a tutto il costruito, senza, cioè, differenziarsi rispetto a quello che si determina ex-novo in una prospettiva di contenimento del suolo (in altre parole, se in un centro urbano nessuno più costruisse, i proprietari di immobili ivi allocati sarebbero comunque premiati dell’iniquo vantaggio – assolutamente non associabile al minor consumo di suolo – di pagare meno tasse sugli immobili ).

Nel merito dell’art. 9, sfugge del tutto il senso della prescrizione del comma 6 “In attuazione del medesimo principio sono previsti tributi o entrate proprie dei comuni a fronte di servizi indivisibili resi a soggetti non titolari di immobili nel territorio comunale.”, e soprattutto in che misura e per quale traversa strada questa si riconnetta allo scopo di aggiornare la disciplina e le politiche di governo del territorio. Anzi, nell’incipit “In attuazione del medesimo principio …” si nasconde un discutibile criterio di tassazione “turistico/residenziale”, secondo il quale anche chi non detiene immobili partecipa alla tassazione generale di un Comune in base “all’indice di densità edilizia di cui al comma 6 dell’art. 5 della presente legge” … (sic!) .

Parimenti incomprensibile è la previsione dell’art. 9, comma 10 “Gli immobili soggetti a vincoli di interesse generale di ogni genere non sono soggetti a tassazione”.
Almeno fino a quando non si darà una definizione di “vincolo di interesse generale”.


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Art. 10
(Perequazione)
1. I piani urbanistici possono essere attuati per mezzo della perequazione e della compensazione, secondo le modalità stabilite dalle regioni, anche al fine di raggiungere gli obiettivi di qualità urbana, paesaggistica e ambientale nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed equità, garantendo altresì l’indifferenza delle posizioni proprietarie dei suoli.
2. La perequazione è finalizzata alla riduzione della diversità di trattamento della proprietà determinata dal piano urbanistico ed ad una equa distribuzione dei benefici derivanti dalla pianificazione e all’acquisizione da parte degli enti locali, delle aree necessarie alle dotazioni territoriali funzionali alla qualità urbana, paesaggistica ed ambientale.
3. La perequazione trova attuazione grazie all’attribuzione a tutte le aree soggette a trasformazione urbanistica di diritti edificatori senza distinzione tra destinazioni d’uso pubbliche e private.
4. La perequazione può essere estesa a tutte le aree di trasformazione urbanistica ovvero solo ad una loro porzione. L’indice di edificabilità - opportunamente commisurato rispetto alle scelte pianificatorie generali e in particolare al dimensionamento del piano - può essere unico ovvero differenziato per classi omogenee di suoli, conformante le volumetrie degli edifici se esistenti a parità di destinazione d’ uso.
5. Le Regioni stabiliscono criteri di perequazione territoriale a carattere anche intercomunale, e forme di coordinamento delle regole perequative dei piani di comuni interessati a promuovere la realizzazione di dotazioni territoriali, di interesse sovracomunale, di carattere ambientale, infrastrutturale e per le attrezzature ed i servizi.



Art. 11
(Compensazione)
1. In presenza di vincoli preordinati all’esproprio, l’amministrazione può procedere, in luogo della corresponsione dell’indennità di esproprio in denaro e a fronte della cessione volontaria del bene, all’attribuzione di diritti edificatori da trasferire e impiegare su altra area nella disponibilità del proprietario o di terzi.
2. La compensazione trova applicazione nell'acquisizione di beni immobili funzionali all’attuazione dei piani per indennizzare sia l'acquisizione dei beni che le eventuali indennità per la reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio. La compensazione trova altresì applicazione in interventi di demolizione e rilocalizzazione di immobili in sede impropria, con il mantenimento o la modifica delle destinazioni d’uso di questi ultimi, e per la realizzazione di dotazioni territoriali di carattere ambientale di interesse comunale o sovracomunale
3. Allo fine di acquisire i beni immobili funzionali all'attuazione dei piani urbanistici, l'amministrazione può altresì procedere alla permuta con beni immobili di proprietà pubblica di valore tale da indennizzare la proprietà. Al fine di dare attuazione a quanto previsto dalla pianificazione urbanistica comunale, l’amministrazione può consentire la realizzazione degli interventi di interesse generale da parte della stessa proprietà, previa stipula di una convenzione con l’amministrazione per la gestione dei servizi.



Art. 12
(Trasferibilità e commercializzazione dei diritti edificatori)
1. I diritti edificatori sono trasferibili e utilizzabili, nelle forme consentite dal piano urbanistico, tra aree di proprietà pubblica e privata, e sono liberamente commerciabili.
2. Possono essere previsti coefficienti di conversione per i trasferimenti dei diritti edificatori tra diversi ambiti urbani individuati dal piano allo scopo di assicurare l’equità di trattamento della proprietà e la sostenibilità e la qualità delle trasformazioni urbane.
3. I comuni istituiscono il registro dei diritti edificatori allo scopo di verificare l’utilizzo di questi ultimi nella fase di attuazione dei piani urbanistici.
4. Ove i diritti edificatori, conferiti sia a titolo di perequazione, compensazione e premialità, siano ridotti o annullati a seguito di varianti del piano urbanistico, non obbligatorie per legge, il comune deve indennizzare i relativi proprietari sulla base del criterio del valore di mercato.



Art. 13
(Premialità)
1. La premialità è finalizzata a promuovere interventi di riqualificazione edilizia, urbana e ambientale e prevede l’attribuzione di diritti edificatori a fronte del perseguimento di specifiche finalità pubbliche.
2. La premialità trova impiego nella riqualificazione urbanistica, ambientale ed edilizia delle parti degradate della città, negli interventi di recupero e riqualificazione paesaggistica nello sviluppo dei servizi e delle dotazioni urbanistiche e ambientali di carattere comunale e sovra comunale, e nella messa a disposizione di immobili per l’edilizia residenziale sociale in tutte le sue forme.
3. La premialità trova applicazione anche nel caso di richiesta da parte del comune di oneri aggiuntivi rispetto al contributo di costruzione per la realizzazione di opere pubbliche, previa adesione volontaria da parte del soggetto che attua la trasformazione urbanistica.



Commento / riflessioni / osservazioni agli artt. 10, 11, 12 e 13

Tutte le criticità appena segnalate a commento dell’art.9, diventano esponenziali se si confrontano gli obiettivi della “fiscalità immobiliare” con quelli della perequazione/compensazione/premialità enunciati agli artt. 10, e seguenti.

Infatti:
-      mentre, all’art. 9, la scelta di applicare un regime di fiscalità immobiliare inversamente proporzionale all’aumento dell’indice di densità edilizia imposto dalla pianificazione è giustificata dalla scelta di indurre al “contenimento del consumo di suolo”;
-      dall’art. 10 in poi, con i meccanismi perequativi ecc…, si afferma l’indifferenza delle destinazioni d’uso delle aree normate dal piano urbanistico e si incentiva una edificazione assolutamente indifferente all’obiettivo del “contenimento del consumo di suolo”.

In linea di principio, è da condividersi la scelta di dotare i Comuni di strumenti più aperti ed articolati ai fini dell’esercizio puntuale e quotidiano della problematica “gestione del territorio”, ma – salvo gli approfondimenti normativi che le Regioni sono chiamate a legiferare per rendere operativi tali strumenti – l’insieme delle innovazioni del DDL va integrato da norme che evitino il rischio della “virtualizzazione” della pianificazione.

E’ di tutta evidenza, infatti, che l’assoggettabilità di uno strumento di  pianificazione a modelli di attuazione che ne alterino non solo la prevista distribuzione dei carichi insediativi (perequazione), ma anche la misura del  preventivato peso insediativo (compensazione mediante scambio indennità/diritti edificatori e premialità varie) e la strategia attuativa (commerciabilità di diritti edificatori) può condurre a risultati affatto coerenti con le premesse, le ragioni ed il senso di un piano urbanistico.


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Capo III
Accordi tra amministrazione e privati in ambito urbanistico e giurisdizione


Art 14
(Accordi urbanistici)
1. Sono definiti accordi urbanistici gli accordi tra parti pubbliche e privati, i cui contenuti incidono sulla pianificazione territoriale, ambientale e urbanistica. Le amministrazioni pubbliche possono concludere accordi urbanistici sia nella fase di definizione che di attuazione degli strumenti di pianificazione. Gli accordi si attivano anche su istanza dei privati.
2. Gli accordi urbanistici rispondono ai principi di proporzionalità, parità di trattamento, adeguata trasparenza delle condizioni dell’accordo e dei benefici pubblici e privati connessi, specifica motivazione in ordine all’interesse pubblico che li giustifica, pubblicità, concorrenza.
3. Le leggi regionali disciplinano gli accordi di cui al comma 1 nel rispetto dei principi indicati al medesimo comma, stabilendone il relativo procedimento di adozione e l’organo alla stessa competente, i criteri di selezione dei privati laddove vi siano, anche potenzialmente, più soggetti interessati alla conclusione dell’accordo. Gli atti di proposta e adozione degli accordi sono soggetti alle forme di pubblicità degli strumenti urbanistici che integrano o attuano.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 14

Il comma 1 dell’art. 14 aggiunge, alle già ampie aperture del DDL in materia di governo del territorio appena commentate, una sorta di norma facoltativa in bianco:
quando gli interessi pubblico/privati non possono realizzarsi con meccanismi perequativi o compensativi ecc…, si può ricorrere alla stipula di “accordi urbanistici … …  i cui contenuti incidono sulla pianificazione territoriale, ambientale e urbanistica”.

Per l’ampiezza e indeterminatezza dei limiti e finalità di tali accordi, deve necessariamente provvedersi ad integrare la norma con le necessarie indicazioni e cautele in grado di renderla indisponibile :
-      all’esercizio ordinario della gestione del territorio;
-      alla diffusione di una pratica derogatoria della pianificazione.


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Art. 15
(Giurisdizione e strumenti di tutela)
1. Le controversie relative a provvedimenti di adozione, approvazione e attuazione degli strumenti e degli accordi urbanistici, comunque denominati, ivi compresi quelli che comportano la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza, sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
2. Entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato a modificare il decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, al fine di:
a) adeguare la disciplina del processo alle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo;
b) prevedere per le controversie di cui al comma 1 la disciplina specifica stabilita all’art. 119 del codice del processo amministrativo.



Titolo II
POLITICHE URBANE, EDILIZIA SOCIALE E SEMPLIFICAZIONI IN
MATERIA EDILIZIA



Art. 16
(Rinnovo urbano)
1. In attuazione del principio di razionale uso del suolo, di cui all’art. 1, lo Stato, favorisce politiche di rinnovo urbano per la rifunzionalizzazione, valorizzazione e recupero del patrimonio e del tessuto esistente, delle periferie, delle aree dismesse e per il ripristino ambientale e paesaggistico delle aree degradate.
2. Il rinnovo urbano si attua per mezzo della conservazione, della ristrutturazione edilizia, della demolizione, della ricostruzione di edifici e la ristrutturazione urbanistica, di porzioni di città, e di insediamenti produttivi ed è realizzato attraverso un insieme organico e coordinato di operazioni, finalizzate all’innalzamento complessivo della qualità urbana e dell’abitare, alla valorizzazione, alla rigenerazione del tessuto economico sociale e produttivo, nel rispetto delle dotazioni territoriali essenziali di cui all’art. 6, secondo principi di sostenibilità economica sociale e ambientale.
3. I Comuni, nelle aree ritenute a particolare disagio sociale, attivano operazioni di rinnovo urbano integrandole con azioni di politica sociale e assistenziale, per l’innalzamento del livello di coesione sociale.
4. Le aree prioritarie per le operazioni di rinnovo sono individuate dai Comuni nella pianificazione urbanistica comunale programmatoria di cui all’art 7, comma 2, lett. a).
5. I Comuni pianificano le aree urbanizzate residuali funzionali alle operazioni di rinnovo e individuano i principali detrattori paesaggistici e urbani, prevedendone nelle forme più opportune l’eliminazione o la minimizzazione del loro impatto negativo
6. L’approvazione delle operazioni di rinnovo funzionale e rigenerazione urbana comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere e l’urgenza ed indifferibilità dei lavori.
7. Le operazioni di rinnovo urbano possono essere realizzate anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità dalla stessa, previo accordo urbanistico tra Comune e privati interessati dalle operazioni. Le Regioni con specifica normativa possono definire le procedure amministrative per consentire l’attuazione indiretta, in conformità e secondo gli accordi urbanistici di cui all’art. 14.
8. Le operazioni di rinnovo urbano, che comportano abbattimento e ricostruzione di porzioni di città, sono soggette a dibattito pubblico, da disciplinarsi con legge regionale. Il relativo piano - che si inserisce nella pianificazione attuativa di cui all’art. 7, comma 2, lett. b), è formato di concerto tra comune e gli altri soggetti pubblici coinvolti dagli interventi ivi previsti, con la partecipazione dei privati interessati. Si procede mediante conferenza di servizi o accordi di programma, ai sensi della legge 7 agosto 1990 n. 241.
9. Al fine di incentivare gli interventi di rinnovo urbano, come definiti al comma 1 e di contenere l’ulteriore occupazione di suolo agricolo ai sensi dell’ art. 1, oltre alle misure stabilite dall’art. 5, comma 9, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106:
a) le imposte che gravano sugli immobili sono commisurate all’indice di densità edilizia di cui all’ art 5 comma 6, con una progressiva riduzione per le zone di maggiore densità edilizia;
b) le leggi regionali stabiliscono che, attraverso i piani urbanistici comunali, venga assegnata una premialità volumetrica - da intendersi come una ulteriore quantità edificatoria rispetto a quella di base spettante - connessa al miglioramento sismico, acustico, energetico, delle prestazioni bioclimatiche ed alla qualità igienico-sanitaria dei materiali impiegati nelle costruzioni da rinnovare, alla durabilità e facilità di manutenzione, all’eliminazione dei detrattori ci cui al comma 5, che può essere utilizzata anche in altre zone edificabili.
10. I Comuni costituiscono altresì un patrimonio di aree, nella loro disponibilità o derivanti da perequazione e compensazione, dove realizzare alloggi per esigenze temporanee o definitive per i proprietari degli immobili oggetto delle operazione di rinnovo urbano. A tale scopo, i Comuni in sede di approvazione di dette operazioni, assegnano tali aree ai soggetti promotori degli interventi allo stesso valore dell’indennità di esproprio.
11. Le aree di cui al comma precedente sono vincolate alla realizzazione e alle operazione di rinnovo urbano di cui al presente articolo.
12. I privati proprietari possono consorziarsi con un soggetto promotore, ovvero conferire allo stesso apposito mandato con rappresentanza
13. I proprietari degli immobili oggetto degli interventi di rinnovo urbano e il soggetto promotore possono stipulare contratti di compravendita, permuta totale o parziale aventi ad oggetto il trasferimento della proprietà degli immobili su cui si interviene a fronte della proprietà di quelli realizzati nelle aree di cui al comma 10 del presente articolo ovvero in altre aree.
14. Gli alloggi realizzati ai sensi del comma 10 del presente articolo, utilizzati in via temporanea da parte dei proprietari degli immobili ricadenti nelle operazioni di rinnovo, possono essere successivamente destinati a soddisfare esigenze di edilizia sociale o ceduti al Comune.


Commento / riflessioni / osservazioni all’art. 16

Il modo di regolare la problematica del rinnovo urbano disciplinata all’art. 16 conferma la sensazione che il DDL svolga la formulazione dei modi di attuare il governo del territorio discostandosi dai principi dal medesimo premessi.

Infatti, anche in questo caso:
-      è stabilito (comma 4) che “Le aree prioritarie per le operazioni di rinnovo sono individuate dai Comuni nella pianificazione urbanistica comunale programmatoria di cui all’art 7, comma 2, lett. a).”;
-      ma poi è anche stabilito che “Le operazioni di rinnovo urbano possono essere realizzate anche in assenza di pianificazione operativa o in difformità dalla stessa, previo accordo urbanistico tra Comune e privati interessati dalle operazioni (comma 7);
-      e, infine, è anche stabilito che “Le operazioni di rinnovo urbano, che comportano abbattimento e ricostruzione di porzioni di città, sono soggette a dibattito pubblico, da disciplinarsi con legge regionale. Il relativo piano - che si inserisce nella pianificazione attuativa di cui all’art. 7, comma 2, lett. b), … (comma 8);
-      come a dire che la pianificazione (per principio) serve, ma anche no .

Nell’ambito delle facilitazioni volte a incentivare operazioni di rinnovo urbano,  la previsione del comma 10, “I Comuni costituiscono altresì un patrimonio di aree, nella loro disponibilità o derivanti da perequazione e compensazione, dove realizzare alloggi per esigenze temporanee o definitive per i proprietari degli immobili oggetto delle operazione di rinnovo urbano. A tale scopo, i Comuni in sede di approvazione di dette operazioni, assegnano tali aree ai soggetti promotori degli interventi allo stesso valore dell’indennità di esproprio.”, dovrebbe essere estesa ai destinatari, cioè ai soggetti promotori, certamente capaci di individuare - al pari dei Comuni – “aree, nella loro disponibilità … dove realizzare alloggi per esigenze temporanee o definitive per i proprietari degli immobili oggetto delle operazione di rinnovo urbano”.


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Art 17
(Attuazione delle politiche di rinnovo urbano)
1. Nella predisposizione e nell’attuazione delle operazioni di rinnovo urbano, i Comuni favoriscono forme di concertazione tra operatori pubblici e privati attraverso procedure di evidenza pubblica aperte a tutti i soggetti interessati.
2. Nel caso in cui negli ambiti da assoggettare a rinnovo siano presenti immobili di proprietà privata ovvero appartenenti al patrimonio disponibile di altri Enti pubblici, ritenuti necessari per l’attuazione degli interventi, in luogo delle procedure di cui al comma precedente, il Comune attiva procedure negoziali con i proprietari.
3. Nell’ipotesi di cui al comma 2, il concorso dei proprietari rappresentanti la maggioranza assoluta del valore degli immobili in base all’imponibile catastale, ricadenti nelle operazione di rinnovo urbano, è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della presentazione al Comune delle proposte di realizzazione degli interventi e del relativo schema di convenzione ai sensi del comma 5 dell’art. 27 della legge 1 agosto 2002, n. 166.
4. Qualora i proprietari, a seguito di diffida, non partecipino alle operazioni di rinnovo e non abbiano aderito alla formazione del consorzio, l’immobile potrà essere assoggettato alle procedure espropriative. A tal fine, il Comune fissa un termine non superiore a novanta giorni, decorso infruttuosamente il quale, il consorzio consegue la piena disponibilità degli immobili, promuovendo direttamente la procedura espropriativa a proprio favore degli immobili dei proprietari non aderenti.
5. L’indennità di esproprio posta a carico del consorzio deve corrispondere al valore venale dei beni espropriati diminuito degli oneri di urbanizzazione stabiliti in convenzione ai sensi del comma 5 dell’articolo 27 della legge 1 agosto 2002, n. 166. L’indennità può essere corrisposta anche mediante permute di altre proprietà immobiliari site nel Comune.
6. Nel caso in cui non sia stata raggiunta la maggioranza di cui al presente articolo o non sia stata raggiunta un’intesa con i soggetti interessati, il Comune attua le procedure di evidenza pubblica aperte a tutti i soggetti interessati a parteciparvi.




Art. 18
(Edilizia residenziale sociale. Qualificazione del servizio)
1. L’edilizia residenziale sociale comprende tutti gli interventi di edilizia residenziale pubblica e privata (edilizia residenziale pubblica sociale: ERPS, edilizia residenziale sociale: ERS) diretti alla realizzazione di alloggi sociali, così come definiti dall’art. 1 del DM Infrastrutture n. 32438 del 22 aprile 2008, realizzati da soggetti pubblici e privati. Tali alloggi concorrono ad assicurare il diritto sociale all’abitazione a favore degli individui e dei nuclei familiari che non sono in grado, anche per situazioni di disagio economico e sociale, di accedere al libero mercato, ovvero che hanno esigenze abitative collegate a particolari condizioni di lavoro o di studio. Sono compresi nella definizione di alloggio sociale, per le finalità di cui al presente articolo, anche gli interventi edilizi in locazione permanente e temporanea, nonché in proprietà.
2. Per alloggio sociale si intende l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di riduzione del disagio abitativo per individui e nuclei familiari in difficoltà che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato per l’assenza di un’offerta adeguata o commisurata alle situazioni di disagio economico e sociali.
3. L’alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale. Tale sistema è ispirato da principi di sostenibilità ed è costituito dall’insieme organico e strutturato di alloggi e servizi abitativi e di prossimità, di azioni e strumenti rivolti a coloro che non riescono a soddisfare le esigenze primarie.
4. La finalità del sistema di edilizia residenziale sociale è di migliorare la condizione delle persone, favorendo la formazione di un contesto abitativo dignitoso e dinamico all’interno del quale sia possibile, non solo accedere ad un alloggio adeguato, ma anche creare relazioni umane coese e costruttive.
5. Le Regioni sentiti i Comuni, individuano le categorie sociali a cui sono destinare gli interventi di edilizia residenziale sociale.
6. Il servizio di edilizia residenziale sociale viene erogato da operatori pubblici e privati prioritariamente tramite l’offerta di alloggi in locazione alla quale va destinata la prevalenza delle risorse disponibili, nonché il sostegno all’accesso alla proprietà della casa, perseguendo l’integrazione delle diverse fasce sociali, che potrà essere favorita dalla presenza di un equilibrato mix di funzioni.
7. Le azioni di politica sociale e assistenziale integrano il servizio di edilizia residenziale sociale e concorrono al miglioramento delle condizioni di vita, di relazione e di inserimento nel contesto sociale e nel mondo del lavoro.
8. L’edilizia residenziale sociale è un servizio, erogato da operatori pubblici e privati, di interesse economico generale, che si determina come standard aggiuntivo, attraverso l’offerta di “alloggi sociali” in locazione e in proprietà.



Art. 19
(Edilizia residenziale sociale. Principi e forme di incentivazione)
1. Le politiche abitative pubbliche dirette alla programmazione, regolamentazione, realizzazione e gestione degli alloggi sociali, favoriscono il coinvolgimento degli soggetti pubblici e privati, anche del terzo settore, sulla base del principio di sussidiarietà.
2. Gli interventi realizzati da soggetti privati, individuati tramite procedure di evidenza pubblica, sono regolati da procedure di accreditamento dei soggetti stessi, ovvero da apposita convenzione, che disciplinino l’asservimento degli alloggi e le modalità di gestione, sulla base della normativa regionale o di strumenti di pianificazione territoriale locale.
3. Ai fine di garantire l’equilibrio economico-finanziario delle iniziative, il sistema di edilizia residenziale sociale, può avvalersi di specifiche modalità operative di sostegno ai promotori, coerentemente con quanto già previsto all’ art 11, comma 5 del legge 133/2008, quali :
a) il trasferimento o incremento premiale di diritti edificatori, a compensazione della realizzazione e gestione di alloggi sociali, di standard urbanistici, di miglioramento della qualità urbana;
b) la riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o degli oneri connessi al permesso di costruire;
c) la cessione di diritti edificatori quale corrispettivo per la realizzazione e cessione al Comune di alloggi sociali;
d) riduzione o annullamento dei corrispettivi per l’assegnazione delle aree da parte degli enti pubblici, specie se queste sono acquisite a titolo gratuito, ovvero mediante l’istituto della cessione compensativa;
e) esenzione o riduzione delle tasse comunali sugli immobili;
f) esenzione dal contributo commisurato al costo di costruzione, equiparando tali interventi a quelli di edilizia residenziale pubblica nell’ambito dei Piani di zona di cui alla legge 167/62;
g) applicazione di un’aliquota forfettaria ridotta sulla base imponibile dei redditi derivanti dai canoni degli alloggi in affitto;
h) costituzione di fondi immobiliari destinati all’incremento dell’offerta abitativa ovvero alla promozione di strumenti finanziari immobiliari innovativi e con la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati articolati anche in un sistema integrato nazionale e locale per l’acquisizione e realizzazione di immobili residenziali;
i) promozione da parte dei soggetti privati di interventi ai sensi della parte II, titolo III del D.lgs . n. 163/2006;
l) agevolazioni amministrative e forme di garanzia in favore di soggetti pubblici e privati per la realizzazione e la gestione di alloggi ai sensi del comma 1, con particolare riferimento al rischio di insolvenza nel pagamento dei canoni di locazione.
4. Per tutti gli interventi di edilizia residenziale sociale si applica la riduzione o l’esonero dal contributo di costruzione secondo quanto stabilito per i corrispondenti interventi di edilizia residenziale pubblica ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
5. La realizzazione di alloggi sociali può avvenire anche attraverso lo strumento del permesso di costruire in deroga, ai sensi e per gli effetti dell’art. 14 del D.P.R. 6 giugno 2001, n.380.


Commento / riflessioni / osservazioni agli art. 18 e 19

Il riordino delle norme in materia di edilizia sociale appare condivisibile, pur restando indeterminato il limite del relativo apporto alle politiche residenziali che in genere sono prospettate dalla pianificazione locale.

La questione non è secondaria, in quanto :

-      considerando la prescrizione dell’art. 18, comma 8 ”L’edilizia residenziale sociale è un servizio, erogato da operatori pubblici e privati, di interesse economico generale, che si determina come standard aggiuntivo, attraverso l’offerta di “alloggi sociali” in locazione e in proprietà”;
-      e ponendola in relazione con quella dell’art. 19, comma 5 “La realizzazione di alloggi sociali può avvenire anche attraverso lo strumento del permesso di costruire in deroga, ai sensi e per gli effetti dell’art. 14 del D.P.R. 6 giugno 2001, n.380”;

significa che sulla concreta attuazione di una qualunque ipotesi di governo funzionale, equilibrato, efficiente ed efficace del territorio, grava un’altra “condizione” a-temporale, cioè in qualunque tempo suscettibile di pretendere capacità innovativa e soddisfazione in deroga.


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Art. 20
(Semplificazioni in materia edilizia)
1. Il Governo - previa intesa in sede di Conferenza Unificata, ai sensi dell’art. 8, comma 6 legge n. 131 del 2003 - è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo di riordino e semplificazione delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia di cui al d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
i) semplificazione e razionalizzazione della disciplina dei titoli edilizi;
ii) riorganizzazione dello Sportello Unico dell’edilizia e dei procedimenti relativi;

iii) riordino della normativa tecnica sulle costruzioni e sui prodotti da costruzione.

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